IL METODO
METODO ANNE DENNER
“Per far scaturire questo aspetto simbolico, profondo della creatività umana abbiamo dovuto prima creare un ambiente positivo, affettivo, relazionale con tutte le persone che vi lavoravano… Così le persone si sono sentite in un “bagno affettivo” molto intenso che ha reso possibile che l’espressione divenisse più profonda e più specifica”. (Anne Denner)
La ricerca della Prof.ssa Anne Denner, una caposcuola dell’arteterapia, si è avviata negli anni ’50 a Parigi ed è scaturita dagli insegnamenti del Prof. Wallon, dal quale aveva imparato l’arte dell’osservazione senza pregiudizi a priori, i metodi clinici legati alla ricerca, il concetto di uomo immerso nel proprio contesto geografico, psicosociale e culturale e dagli insegnamenti del Prof. De Ajuriaguerra che aveva condotto ricerche sulle disfunzioni scolastiche nei bambini.
La Denner affiancò quest’ultimo introducendo la pittografia per una rieducazione alla scrittura, senza mai escludere l’espressione libera del fanciullo.
La sua ricerca in ambito infantile proseguì con l'indagine delle cause del non riconoscimento dell’identità nel disegno, lo studio del comportamento di bambini in asilo nido in funzione delle variazioni dell’ambiente a partire da materiali informali e da piani inclinati, lo studio di bambini dai 15 mesi ai tre anni che manipolano la creta, per valutare quando emerge l’aspetto simbolico nello sviluppo del bambino.
Anne Denner lavorò anche con pazienti psicotici adulti. Alcuni aspetti che aveva osservato nei bambini li ritrovava, leggermente mutati, nel comportamento di queste persone, a causa delle loro istanze regressive o dell’indebolimento delle sovrastrutture culturali; aveva constatato, anche per loro, l’efficacia del trattamento tramite tecniche plastico-pittoriche.
Il corpo del paziente e la sua ridotta attività psicomotoria erano al centro delle sue osservazioni ed introdusse una serie di esercizi psicomotori che favorivano una maggiore libertà di espressione e ne miglioravano i lavori.
Docente di Psicopatologia dello spazio all’Università di Architettura di Parigi, i suoi studi furono rivolti anche all’ambiente, all’architettura e ai problemi dell’habitat dell’uomo e a come si può leggere il suo rapporto con lo spazio che occupa.
Aspetto centrale del suo insegnamento è lo spazio dove si fa l’arteterapia: l’atelier, luogo privilegiato nel quale si favorisce l’espressione, si vedono lavori d’arte, si fa un’attività artistica, si parla di arte. Si tratta anche di creare uno spazio affettivo perché il paziente possa esprimere i propri vissuti: stabilità e sicurezza dipendono dall’ambiente e dalla sua struttura.
Gli atelier sono luoghi dove l’oggetto creato prende una forma artistica, si guardano le forme, il processo creativo, il mondo immaginario. Tutto questo favorisce un nuovo sistema di comunicazione.
E’ attraverso un lungo percorso di ricerca ed esperienza sul campo che si è sviluppato il metodo di Anne Denner.
Questa metodologia, trasmessaci direttamente dalla Prof.ssa Denner, è la strada maestra da percorrere, non in maniera pedissequa, ma come punto d’avvio per indagare altri domini.
“Poiché è infinito il numero dei colori e delle forme, sono in pari tempo infinite anche le loro combinazioni e le loro azioni”. (Vasilij Kandinskij)
FORMAZIONE
AMMISSIONE
Il corso di formazione triennale è aperto a professionisti che operano nel settore psicologico, psicosociale, pedagogico, educativo e artistico.
E’ necessario svolgere un colloquio preliminare di ammissione, scrivendo una mail a cretears5@gmail.com
TRIENNIO
Il corso di formazione triennale al metodo Anne Denner è organizzato in incontri seminariali.
Ogni seminario si struttura in una parte teorica e una parte esperienziale, dedicata alla pratica di arteterapia.
Nel percorso formativo sono inseriti workshop con specialisti delle arti visive per ampliare la conoscenza del linguaggio artistico. Questo è fondamentale dal momento che il metodo è centrato sul processo artistico e gli aspetti formali dell’opera e non intende proporsi come una psicoterapia attraverso l’arte.
Il primo anno è dedicato allo studio del metodo, agli aspetti del setting e all’approfondimento di tecniche e materiali artistici.
Il secondo anno, che corrisponde anche all’inizio del tirocinio, vengono approfonditi programma e progetto terapeutico, intervento multidisciplinare, utenze, metodologie di osservazione basate sulle schede pittografiche e grafomotorie.
Il terzo anno è dedicato allo studio del linguaggio simbolico che emerge dall’opera grafica e plastica, alla supervisione e alla costruzione della ricerca-tesi.
Gli incontri si svolgono con cadenza mensile, il sabato e la domenica.
Alla fine dei primi due anni, è richiesta una tesina sul percorso svolto e sull’esperienza di tirocinio. Alla fine del terzo anno, vengono presentati la tesi e un elaborato grafico.
CORSI DI AGGIORNAMENTO
Annualmente vengono organizzati corsi di aggiornamento rivolti ad arteterapeuti già formati.
Questi attengono alla pratica arteterapeutica in diversi contesti, alla sperimentazione di tecniche o materiali artistici particolari e inediti, a tematiche teoriche appartenenti a discipline attigue e d’interesse per la pratica arteterapeutica.
Si svolgono generalmente presso C.R.E.T.E. o presso altre associazioni, qualora siano necessarie particolari strumentazioni.
SUPERVISIONI
Si rivolgono ad arteteraputi che operano in ambito privato o pubblico, tramite una presa in carico individuale o gruppale.
Una supervisione si struttura nella presentazione verbale e fotografica di percorsi arteterapeutici.
Si svolgono presso la sede di C.R.E.T.E. o presso istituzioni cui è rivolta la supervisione.
SBOCCHI
L’arteterapeuta può realizzare atelier privati o pubblici rivolti a diverse fasce d’età con finalità riabilitative, di prevenzione, di miglioramento della qualità della vita e di integrazione socio-culturale.
Ogni intervento viene progettato sulla base del contesto in cui si opera e della persona o gruppo a cui si rivolge.
DOCENTI
CHI SIAMO
Il Centro Ricerche Europeo Terapia Espressiva nasce nel 1991 come ente di formazione. Fondato da Anne Denner e Liana Malavasi, ha lo scopo di formare arteterapeuti secondo il Metodo Anne Denner.
Attualmente, oltre alla formazione triennale in arteterapia, agli aggiornamenti e alle supervisioni rivolte ad arteterapeuti e operatori di enti pubblici e privati, organizza conferenze, pubblicazioni, mostre per sviluppare valori riguardanti l’arte, la cultura, l’ambiente umano e naturale e sviluppa ricerche concernenti l’arteterapia nel campo della prevenzione e della riabilitazione.
Dal 2012, C.R.E.T.E. è una APS che opera nell’ambito sociale e socio-sanitario attraverso la realizzazione di atelier espressivi, di arteterapia individuali e di gruppo nelle seguenti aree: promozione della salute e miglioramento della qualità della vita (bambini, adolescenti, adulti), neuropsichiatria infantile (autismo, ADHD, DSA, BES), integrazione sociale di bambini e adulti stranieri e immigrati, psichiatria, disturbi alimentari, disabilità fisica, anziani, bambini in asilo nido, marginalità e devianza.
Convenzioni attive:
- Affiliazione all’Arci dal 2012
- Iscrizione all’Albo Regionale delle APS (atto D.D. 1350 del 05/04/2012)
- Convenzione “Attività arteterapia ambito Firenze” (prot. 4815 del 22/01/2021 di Azienda USL Toscana centro)
- Accreditamento servizi di assistenza / Caffè Alzheimer (prot. 49957 del 14/02/2020 di Comune di Firenze, Direzione Servizi Sociali)
Per visualizzare il curriculum completo di C.R.E.T.E. cliccare qui.
CONSIGLIO DIRETTIVO (in carica da marzo 2020 a marzo 2024)
Presidente e legale rappresentante: Liana Malavasi.

Responsabile della formazione in arteterapia.
Psicologa e psicoterapeuta specializzata in terapie espressive, si è formata in arteterapia con la Prof.ssa Anne Denner. Ha operato per molti anni all’interno del Centro Terapeutico Psichiatrico dell’ASL 10 di Firenze. E’ la presidente, fondatrice e direttrice del corso di formazione triennale.


Gestione della relazione e sviluppo delle potenzialità creative sono state le parole che hanno orientato una vita professionale dedicata allo studio, alla organizzazione e gestione di contesti educativi: infanzia, adolescenza, disabilità e salute mentale. Proveniente da una laurea in filosofia e con interessi in ambito antropologico e artistico, non ha mai potuto ridurre l’attività professionale ad una applicazione di tecniche, bensì ha sempre cercato di intrecciare trasversalmente diverse discipline per poter gestire le sfide educative da una prospettiva ampia e originale.
Diplomata arteterapeuta presso C.R.E.T.E., sviluppa una propria ricerca personale in ambito ceramico e utilizza l’argilla come mezzo espressivo e medium nella relazione. Collabora come formatrice con scuole ed enti privati e presso il laboratorio “Terredimarta” dove accoglie singoli e gruppi. Vive all’Isola d’Elba e non potrebbe fare a meno della natura e del silenzio, grandi fonti di ispirazione.


PROGETTI
INFANZIA E ADOLESCENZA

L’arteterapia con bambini ospedalizzati
Per il bambino malato e ospedalizzato, l’espressione artistica può fungere da sostegno o da supporto per completare le informazioni sul suo vissuto di sofferenza, così come può servire al bambino a comunicare e a partecipare alla terapia con azioni creative.
Molti bambini possono vivere la malattia come una punizione e si sentono colpevoli di essersi ammalati; in questa situazione fisica critica possono sentirsi tristi o irritati, esausti dopo un trattamento chirurgico o di altro genere (cure oncologiche), ma anche per la lontananza dalla loro casa.
Paura, confusione, tristezza e altre emozioni forti possono causare in alcuni bambini un isolamento che rende difficile qualsiasi comunicazione.
Disegnare, colorare, potrà essere vissuto come una delle poche attività disponibili per questi bambini ed essere considerata un sollievo e una fuga dalla costante sofferenza di test medici ed interventi.
Nel bambino l’espressione “artistica” è una sorta di sublimazione, un atto di trasformazione degli impulsi e delle emozioni in immagini. L’intervento dell’arteterapeuta, che aiuta il bambino nella sua produzione artistica, sta nell’ascolto e nell’accogliere le istanze distruttive e riparative, ma anche nel sostenere il suo processo creativo, guidandolo con l’insegnamento di abilità artistiche adatte al suo livello di sviluppo.

Progetto di arteterapia in ambito DSA e BES
Il metodo Anne Denner di arteterapia nasceva negli anni '50 per facilitare la scrittura in bambini con problemi di disgrafia ed è basato sull’integrazione tra tecniche psicomotorie e pittografiche.
Anne Denner ha messo a punto una serie di esercizi che permettono di giungere in maniera progressiva dalla pittura alla scrittura.
Questi esercizi hanno anche un valore distensivo e rilassante: il rilassamento indotto dagli esercizi pittografici migliora il gesto grafo-motorio e, dunque, la qualità dello stato emotivo.
Questi esercizi permettono poi, in soggetti che presentano blocchi creativi, ansie e angosce da foglio bianco, il dispiegarsi della creatività ed espressività personale.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante in un periodo come quello adolescenziale, periodo di definizione identitaria, per la prevenzione di problematiche psicologiche, di integrazione, di devianza.
Attraverso il linguaggio artistico e il farsi dell’opera, il ragazzino potrà: acquisire capacità progettuali, prendersi cura della propria opera e dello spazio, migliorare le abilità manuali e la coordinazione mente-occhio-mani, favorire la concentrazione…. tutte capacità che verranno ampliate agli altri ambiti della vita.
ESEMPI DI TECNICHE UTILIZZATE
Esercizi specifici per difficoltà nella scrittura/disgrafia (per lavorare su controllo del gesto, pressione, rapidità, lateralità)
Esercizi pittografici e grafomotori di rilassamento e distensione (per superare ansie e rilassare l’arto scrivente)
Lavori di integrazione tra immagini e scrittura (particolarmente utili in casi di dislessia)
Manipolazione dell’argilla (per bimanualità e coordinazione occhio-mano)
Scatola delle emozioni (per alfabetizzazione emotiva)
SCHEDE DI VALUTAZIONE
Durante tutti gli incontri verranno compilate le schede pittografiche, grafomotorie e di manipolazione dell’argilla che permetteranno la valutazione del percorso e dei progressi raggiunti da ogni singolo partecipante.

LABORATORI ESPRESSIVI PER BAMBINI A FIRENZE E DINTORNI
Il progetto ArTogether è un progetto che prende avvio nel 2014.
Il progetto nasce con l’intento di offrire spazi di espressione e sperimentazione artistica all’interno delle scuole.
I percorsi sono finalizzati a favorire nel bambino l’espressione delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, delle proprie idee e dei propri desideri e a migliorare il suo livello di benessere. Gli incontri hanno l’obiettivo di sviluppare le competenze relazionali, favorire l’integrazione dei soggetti diversamente abili, migliorare le competenze comunicative e di ascolto, rafforzare l’identità (singola e di gruppo) e incoraggiare l’autonomia nella corretta gestione dello spazio sia da parte dei singoli che dell’intero gruppo.
Il progetto mira principalmente a sviluppare la manualità fine e globale e quindi a permettere una maggiore consapevolezza e percezione corporea, con il fine di motivare all’attività espressiva e alla gratificazione del proprio elaborato.
Ogni laboratorio viene sviluppato in base ai contesti e alle situazioni, nel rispetto dei bisogni specifici concordati e individuati assieme alle insegnanti.
Progetto a cura di Agnese Focardi, arteterapeuta specializzata in ambito educativo e Antonella Taccarino laureata in Scienze e Tecniche di psicologia dello sviluppo e dell’educazione e arteterapeuta.
Per maggiori informazioni sui percorsi scolastici e extrascolastici scrivere a: artogetherart@gmail.com o telefonare a: 3483247859

Cresciamo con la creta e la creatività. Pillole di esperienza con l’arte.
Il progetto nasce con l'intento di realizzare uno spazio di libertà espressiva e creativa all'interno della scuola secondaria di primo grado. La presenza di uno spazio non giudicante e svincolato dalle valutazioni didattiche, accompagnato da un lavoro pedagogico, permette di sostenere la crescita e migliorare il livello di benessere favorendo l'integrazione col gruppo dei pari.
I laboratori, che sono pensati in un’ottica sia individuale sia di gruppo, si svolgono a cadenza settimanale, in orario scolastico e per tutta la durata dell'anno, in un’aula appositamente predisposta ed allestita come Atelier.
I laboratori si propongono di fornire uno strumento di indagine sui processi e le dinamiche della creatività al fine di arricchire l’adolescente e favorirne la crescita culturale ed il benessere in rapporto con il contesto di appartenenza, far avvicinare tra loro i ragazzi e promuovere nuove forme di comunicazione e di relazione.
La presenza del gruppo dei pari, di importanza fondamentale in questa fase del ciclo vitale, grazie allo scambio continuo, permette ai ragazzi di sperimentare le proprie competenze sociali e avviare il percorso di acquisizione di una identità personale, sociale ed affettiva.
Obiettivi specifici: far acquisire autonomia nell'uso dei linguaggi artistici, avvicinare l'adolescente alla dimensione del "fare artistico", favorire l'acquisizione di abilità di autoregolazione del proprio comportamento, prevenire situazioni di disagio, rafforzare l'identità individuale e di gruppo incoraggiando l'autostima e rafforzando le relazioni positive nel gruppo dei pari.
A conclusione del percorso svolto, per valorizzare al meglio le opere realizzate dai ragazzi e renderli protagonisti dell’esperienza vissuta, sarà realizzata una mostra d’arte.
Progetto ideato e realizzato nel 2018 da Virginia Ninni, educatrice professionale ed arteterapeuta di CRETE, in collaborazione con le colleghe Anna Iorio (educatrice professionale) e Maria Grazia Matrone (Insegnante di sostegno) presso una scuola secondaria della città di Bologna.
I benefici riscontrati e gli esiti positivi ottenuti durante queste esperienze laboratoriali hanno permesso al progetto “Non solo Creta” di essere riproposto anche per il seguente anno scolastico.
ADULTI

L’arteterapia in carcere
All’interno dell’istituzione totale, l’intervento arteterapeutico è finalizzato a stimolare nel soggetto la comprensione della situazione, l’acquisizione di una maggiore capacità di insight, la liberazione dei sentimenti repressi e delle frustrazioni originate dalla privazione della libertà personale. La partecipazione ad attività creative può essere utilizzata per canalizzare forti emozioni non elaborate, ma può anche servire a sviluppare un senso di identità e di valore. La finalità dell’intervento è quindi riconducibile ad un generale contributo al miglioramento del benessere delle persone, sperimentando una cura con “principio attivo” prevalentemente espressivo-relazionale. Il significato e il valore delle opere prodotte non sarà dunque estetico ma di documentazione: testimonieranno le necessità di comunicare i propri sentimenti, gli stati d’animo intimi e sofferti da non poter essere detti a parole, ma solo espressi attraverso il filtro protettivo di segni, colori e forme.

Pensato per i partecipanti ai laboratori di attività espressive dei centri SMA (Salute Mentale Adulti Firenze), il progetto consiste in un ciclo annuale di incontri nei laboratori strutturati disponibili al museo Marino Marini.
Questa scelta è in sintonia con quanto avviene nei maggiori musei. Scaturisce da un confronto con operatori museali e operatori della riabilitazione avvenuto in occasione dei convegni di Palazzo Strozzi "Arte Accessibile" dal 2016 al 2018 (https://www.palazzostrozzi.org/edu/convegni/).
Il valore fondamentale del progetto è quello di portare le persone fuori dalla struttura di cura per vivere un’esperienza in continuità rispetto al percorso riabilitativo fatto, verso uno dei luoghi socialmente condivisi dell’arte: il museo.
Il progetto prevede la realizzazione di una serie di incontri durante i quali i partecipanti sono condotti in un percorso di avvicinamento all’arte e alla creatività, a partire dall’osservazione approfondita (interattiva, guidata, tattile...) di alcune delle opere di Marino Marini in esposizione al Museo.
Il progetto si articola in attività di gruppo a tema nella forma di laboratori (disegno dal vero, fotografia, pittura, collage, scrittura creativa, modellaggio della creta etc.); prevede anche incontri con artisti contemporanei che realizzano mostre nello spazio del museo.

Per un Atelier Espressivo Multietnico
Esiste oramai da anni nella realtà italiana una forte componente multietnica. Persone di varie etnie studiano e lavorano nel territorio italiano, trovandosi ad affrontare problemi a livello d’integrazione, libertà di espressione, socializzazione. Queste persone, donne e uomini immigrati, molto spesso si trovano a subire discriminazioni sia a livello sociale che lavorativo o a vivere in condizioni di solitudine ed isolamento.
La partecipazione ad un atelier di arteterapia può essere un modo proficuo per ovviare all’isolamento: offre la possibilità di guardare dentro se stessi, condividendo le proprie esperienze con il resto del gruppo, attraverso il codice universale dell’arte, quale forma d’interazione e comunicazione comune a tutti gli esseri umani e capace di creare trame di scambio aldilà delle differenze, comprese quelle culturali. L’arteterapia è uno strumento che si presta alla creazione di linguaggi trasversali alle culture e alle provenienze e, al contempo, può essere un luogo metaforico in cui si manifestano le peculiarità derivate dalla propria personalità e dall’ambiente d’influenza.

L’arteterapia per il paziente psicotico
Il paziente psicotico, come è stato osservato, ha perso il contatto con la realtà e si mostra incapace di costruire un progetto per il futuro, “di anticipare l’avvenire” secondo l’espressione di J. Sutter.
Ripiegato su se stesso, esprime un vuoto interiore, l’essere un “morto vivente”, l'essere incapace di sentire una “sana sofferenza”, gioia, piacere. Le emozioni che si presentano incontrollate non sono riconosciute né tantomeno gestite.
L’arteterapia, attraverso i suoi molteplici aspetti, può aiutare questi pazienti in un processo evolutivo e il ruolo del terapeuta sarà quello di aiutarli a trovare i loro interessi perduti e a costruire o ricostruire un avvenire con creatività.
L’attività proposta, con una connotazione riabilitativa e di gruppo, svolge una significativa funzione riguardo agli aspetti emotivi e relazionali. L’obiettivo fondamentale è quello di arrivare a stabilire un rapporto con la persona nella progettualità di una possibile esperienza dell’essere una persona separata, distinta e differenziata, che può gradualmente accettare e gestire le proprie emozioni e fare esperienza di fiducia e comprensione. Inoltre, la possibilità di realizzare una propria opera esprimendosi nella creazione, ha di per sé una valenza sull’incremento dell’autostima e favorisce la relazione tra il mondo interno e la realtà esterna.
ANZIANI

Affronta la sfida dell'età creativa!
Il progetto del Museo Marino Marini per Creative Age Challenge
2 giugno - 10 giugno 2018
Il progetto del Museo Marino Marini di Firenze trae ispirazione dalla raccolta di cavalli e cavalieri del museo per proporre alle persone che vivono con la demenza e a chi se ne prende cura pratiche creative “in the moment” che stimolano e valorizzano la creatività, offrendo alle persone anziane l’opportunità di sentirsi parte di un gruppo e di prendere decisioni.
Il progetto, inoltre, punta a coinvolgere la comunità e a renderla più amichevole nei confronti delle persone con demenza.
Obiettivi del progetto:
- Offrire alle persone anziane attività creative di qualità, basate sui loro interessi e all’interno della comunità
- Fornire ai partecipanti la possibilità di assumere un ruolo guida nei processi decisionali
- Organizzare un evento di sponsorizzazione creativa per aiutare a sostenere attività artistiche per le persone che vivono con la demenza.
- Condividere l’esperienza con un network internazionale
Le attività
Le attività si svolgono nel contesto dei Caffè Alzheimer di via San Gallo e della BiblioteCaNova dell’Isolotto e nell’ambito di alcune case di riposo che aderiscono all’iniziativa (Le Magnolie e Villa Michelangelo, Il Gignoro, Le Civette).
Ciascun gruppo è condotto da un educatore museale, un artista di C.R.E.T.E. e un educatore geriatrico di riferimento.
Le sculture vengono poi allestite nel portico d’ingresso del Museo Marino Marini e presso la Libreria Libri Liberi dove si svolge la vendita delle opere, finalizzata alla raccolta di fondi destinati alla realizzazione di laboratori creativi per le persone con demenza.
In Italia l’iniziativa è coordinata da L’immaginario associazione culturale che collabora con Equal Arts come Creative Age Challenge Champion Italy, per realizzare il primo progetto pilota di Creative Age Challenge International.

ATTIVA LA MENTE.
Arteterapia, un efficace strumento per contrastare demenza, depressione e Alzheimer
Il presupposto da cui il progetto avvia è che i trattamenti farmacologici non siano sufficienti a contrastare le malattie cronico-degenerative che colpiscono l’età senile. L’IPA – International Psycogeriatric Association, infatti, prescrive di ricorrere, in combinazione con i farmaci, a terapie non farmacologiche, quali l’Arteterapia.
ATTIVA LA MENTE è un progetto ideato nel 2019 per aiutare l’espressività degli ospiti di una RSA per anziani (per un miglioramento del livello cognitivo, motorio, mnemonico, relazionale e comunicativo), per sensibilizzare gli operatori della RSA sull’Arteterapia e sulle problematiche psicologiche e relazionali relative a demenza, depressione e Alzheimer in età anziana, per favorire un maggior coinvolgimento dei caregiver familiari e per sensibilizzare la cittadinanza nei confronti di una dementia-friendly community.
La pandemia COVID-19 ha indotto, nell’anno in corso, a prevedere specifiche attività di sostegno e assistenza, secondo modalità che ricorrono alle nuove tecnologie.
Progetto a cura del Centro Ricerche Europeo Terapia Espressiva – C.R.E.T.E. APS in collaborazione con ACPST – Associazione Culturale di Promozione Sociale Toscana, in accordo con ASP – Montedomini e Cooperativa G. Di Vittorio Onlus.
E' possibile visualizzare la rivista che raccoglie il progetto ATTIVA LA MENTE 2020

LIBERO CAFFE’ ALZHEIMER
LibriLiberi di via San Gallo a Firenze è uno spazio polifunzionale, stimolante ed accogliente: è una libreria, una casa editrice, un giardino, un teatrino, una galleria d'arte, uno spazio di studio, un caffè.
All’interno, si svolgono, due volte al mese, le attività espressive del Caffè Alzheimer, rivolte a persone con demenza.
Perché il Caffè Alzheimer?
La creazione di questo spazio, che prende avvio nel 2008, ha origine da un’idea, portata avanti dal 1997 dallo psichiatra Bere Miesen in Olanda, allo scopo di creare momenti di benessere e condivisione per combattere la solitudine, in un ambiente sicuro e protetto, con personale non ospedaliero. Si pone nel contesto di una necessità concreta, sentita fin dalla prima fase della malattia, di relazione e condivisione necessarie per rallentare il fenomeno di alienazione sociale, che si manifesta a causa della presa di coscienza dei propri problemi e della paura del giudizio degli altri.
I gruppi al Caffè sono composti da circa 7/8 anziani, più gli accompagnatori. Le persone con Alzheimer e i carer vivono l’esperienza in due ambienti distinti. Le prime possono esprimersi più liberamente e i caregiver confrontarsi con operatori geriatrici, psicologi e arteterapeuti sull’andamento delle attività e costruire un gruppo di sostegno tra persone che si trovano ad affrontare quotidianamente medesime difficoltà, preoccupazioni e dubbi. Per il caregiver è possibile ridurre il burden assistenziale (carico emotivo) e promuovere il senso di competenza nei confronti della situazione che si trova a vivere. Vengono anche organizzate giornate formative per conoscere meglio la malattia e poter affrontare le criticità che questa comporta nella vita quotidiana.
Il gruppo espressivo rivolto alle persone con demenza di Alzheimer
Il gruppo prende avvio nel 2012 con Lucilla Carucci, arteterapeuta e docente di arteterapia, e si fonda sulla proposta di unico materiale: la creta di diversi colori e grane.
L’approccio utilizzato è volto alla valorizzazione delle capacità di ognuno, alla sperimentazione, alla relazione, all’esplorazione ed espressione di sé. L’arteterapeuta crea un ambiente che favorisce e incentiva la piena libertà espressiva, aiutando ad attivare, in maniera naturale, il processo creativo personale.
Le forme in terra, realizzate dai partecipanti, permettono di vivere un processo sensoriale, esperenziale e narrativo, nello spazio e nel tempo, capace di coinvolgere tutti i sensi, il movimento e il corpo, attraverso il materiale artistico trasformativo per eccellenza. Le forme vengono cotte alla fine del percorso annuale, valorizzando, consolidando e conservando le tracce della propria presenza, la memoria e l’identità del vissuto.
PER TUTTI

E’ rivolto a persone che vogliano avvicinare il proprio lato creativo, conoscersi meglio, esprimere un disagio relativo ad un particolare momento di vita o di tipo più generalizzato.
E’ uno spazio di prevenzione-espressione creativa o di consultazione per l’individuazione del percorso terapeutico più adatto.
La sua particolarità, rispetto ad uno sportello psicologico, consiste nel fatto di utilizzare il canale grafo-pittorico accanto alla parola.
Attraverso le immagini, è naturale esprimersi ad un livello profondo.
Per informazioni sui nostri progetti
E-mail: cretears5@gmail.com
Tel: +39 339 6699513
RICERCA
PUBBLICAZIONI

ARTETERAPIA: METODOLOGIA E RICERCA.
GLI ATELIER TERAPEUTICI DI ESPRESSIONE PLASTICA
Di Anne Denner, Liana Malavasi, edizione aggiornata LibriLiberi, 2016
Questo volume propone una metodologia di applicazione dell’arteterapia elaborata alla luce delle ricerche svolte in Francia da Anne Denner e dalla sua pluriennale esperienza. La collaborazione di Liana Malavasi, allieva ed erede del metodo, è servita ad integrare le esperienze arteterapeutiche che si sono sviluppate in Italia nell’arco degli ultimi trent’anni.
Questa nuova edizione è stata riproposta e aggiornata con ulteriori contributi e nuove immagini che arricchiscono il testo. Il libro si rivolge innanzitutto a futuri arteterapeuti e a coloro che hanno già adottato questa pratica, ma desterà anche l’interesse di coloro che, a vario titolo, operano nell’area psicopedagogica e all’interno dei servizi sociosanitari e di tutti coloro che, in possesso di una formazione artistica, sono interessati a sperimentare nuove esperienze e forme di collaborazione.

C.R.E.T.E. sviluppa pubblicazioni sull’arteterapia in collaborazione con la casa editrice LibriLiberi.
Nel 2018, sono nate SVIRGOLE. Quaderni di arteterapia.
La finalità dei quaderni è quella di diffondere il metodo Anne Denner di arteterapia attraverso approfondimenti teorici, esperienze di arteterapia in setting individuali e gruppali, progetti non strettamente arteterapeutici, scritti attinenti ad aree limitrofe (come filosofia, storia dell’arte, arte contemporanea…) che arricchiscano il linguaggio dell’arteterapia.
I quaderni hanno cadenza annuale e sono disponibili presso la nostra associazione.
SVIRGOLE.
QUADERNI DI ARTETERAPIA N.1
MAPPE.
Anno 2018
LibriLiberi editore
“Si tratta, per l’arteterapeuta, di nutrirsi del linguaggio dell’arte in tante sue declinazioni, quali possono essere il teatro, la danza, la letteratura, la poesia, la fotografia… Linguaggi che arricchiscono la possibilità di comprendere ed entrare in relazione con i pazienti e le loro creazioni. In questo modo, si possono aiutare gli stessi pazienti a trovare in sé nuove possibilità. Si tratta, pertanto, di una formazione che non si conclude con il triennio formativo, perché è anche culturale, legata ai linguaggi contemporanei, non pratiche intellettualistiche, ma in quanto necessari per stare nella realtà attuale. E noi arteterapeuti dobbiamo aiutare i nostri pazienti a stare in questa epoca storica e in questo ambiente.” (Ilaria Innocenti).
INDICE
Ilaria Innocenti
INTRODUZIONE
Lucilla Carucci, Tano Giuffrida
PERCHE’ UNA MOSTRA?
Giuseppe Grattacaso
RENDERE VISIBILE IL MONDO
Alessandro Fantechi, Elena Turchi
“Isole comprese teatro”
LA DIMENSIONE RI-CREATIVA DELL’ARTE
Giuseppe Grattacaso
IL DISEGNO DEL MONDO
Ilaria Innocenti
GEOGRAFIE IMMAGINATE
NOTIZIE BIOGRAFICHE
Paola Becucci ha curato l’itinerario fotografico della mostra “Mappe” (tenutasi a LibriLiberi nel 2017) che è il filo conduttore di questo quaderno.
SVRIGOLE.
QUADERNI DI ARTETERAPIA N.2
COSI’ VICINO MI BRUCI.
Anno 2019
LibriLiberi editore
“Questo quaderno raccoglie le relazioni di una piccola conferenza sull’autismo che abbiamo organizzato a C.R.E.T.E. nel novembre 2017 (…). Non è semplice parlare di qualcosa che appartiene ad un’area della vita che è prima del linguaggio e prima del simbolico (…). Questi scritti sembrano dirci che una forma di relazione esiste, invece, anche nell’autismo, una relazionalità sensoriale (…). E’ possibile entrare in contatto con queste persone se si entra con rispetto nel loro mondo, nel loro linguaggio fatto di corpo, che è quello delle forme tattili, della ritmicità, ma anche della durezza, della ruvidità…” (Ilaria Innocenti)
INDICE
Ilaria Innocenti
INTRODUZIONE
Liana Malavasi
L’USO DELLA CRETA NELL’ESPERIENZA ARCAICA
Maria Ferigutti
DIALOGHI CORPOREI
Micaela Costanzo
PELLE D’ARGILLA
Cristina Bucci
ARTE E AUTISMI: IL PROGETTO “L’ARTE RISVEGLIA L’ANIMA”
NOTIZIE BIOGRAFICHE
SVIRGOLE.
Anno 2020
INDICE

ARTICOLI
di Liana Malavasi
L’arteterapia coniuga l’arte con la psicologia, ma dal momento che si è affacciata sulla soglia delle attività psicoterapeutiche ha fatto propri concetti di varie discipline quali: la psicopatologia, la psicomotricità, la psicosociologia, non trascurando quelli della filosofia, dell’estetica, e della psicologia dello spazio dell’architettura.
D’altro canto in tutta la ricerca che coinvolge l’arte plastica occorre tener conto che l’uomo ha prodotto la cultura umana mediante il rapporto tra il mondo interno e la realtà che lo circonda.
L’arteterapia è un metodo di cura che utilizza le tecniche grafico-pittoriche e
il modellare per favorire un’esperienza creativa che si concretizza in una forma: l’immagine. L’opera prodotta è al contempo l’oggettivazione di un materiale intimo, manifestazione di pulsioni e di passioni e il concretizzarsi di un momento psichico.
L’esperienza dimostra che i pazienti dell’area psicopatologica ne traggono i maggiori benefici perché non solo sperimentano la riparazione a frustrazioni arcaiche, ma diventa possibile ripristinare la funzione simbolica.
Lo sviluppo dello spazio potenziale, dove fantasia e realtà s’incontrano (Winnicott), favorisce lo sblocco del mondo immaginario che nello psicotico funziona come un sistema chiuso.
La mia esperienza come terapeuta, che si avvale dell’arteterapia come tecnica di intervento, ebbe inizio negli anni ’80, in modo spontaneo.
La mia antica passione per l’arte, ma anche il praticarla, disegnando e dipingendo, mi sollecitò ad utilizzare questo mezzo per comprendere pazienti gravi, perché sentivo che la comunicazione verbale che intercorreva tra me e il paziente non era sufficiente per una vera comprensione. Farlo disegnare, fargli usare il colore mi permetteva di avere molti più elementi per comprenderlo.
Sentii l’esigenza di coadiuvare la mia formazione con una formazione in arteterapia, della quale ancora in Italia si parlava poco o niente. Vi erano alcuni laboratori che facevano un’esperienza di espressione artistica con i malati mentali, ma il collegare il termine ‘arte’ con la parola ‘terapia’ non era contemplato: erano due domini separati.
Dopo varie ricerche entrai in contatto con la Prof.ssa Anne Denner a Parigi, e seppi che già da vari anni veniva in Italia a condurre seminari di formazione, insegnando un suo metodo.
Quando ci si appassiona a qualcosa di poco conosciuto, in questo caso per me era l’arteterapia, i giusti incontri permettono che la nostra idea si radichi e trovi sempre più spazio e forza per poterla affermare, tanto da diventare irrinunciabile.
Un altro incontro importante fu quello con la Prof.ssa Graziella Magherini (allora era Responsabile Primario della Salute Mentale dell’ASL di Firenze Centro), che accettò questo mio operare con l’arteterapia e mi permise di consolidarlo nel Centro psichiatrico di Borgognissanti (una struttura residenziale per giovani psicotici) prevedendo nella progettazione di questo nuovo servizio pilota nella psichiatria (1990) uno spazio denominato “atelier”, che ancora oggi è attivo ed è il mio luogo di lavoro.
E’ proprio l’atelier terapeutico di espressione plastica il luogo deputato a fare arteterapia, uno spazio che assume un ruolo importante nel quadro delle metodiche terapeutiche di cui dispone la psichiatria moderna.
L’attività che si svolge all’interno di questi milieux, che dovrebbero avere tutte le caratteristiche di veri atelier artistici, mette in luce l’espressione arcaica, proiettiva e simbolica del messaggio grafico-pittorico.
E’ qui che inizia quella comunicazione dapprima tra il paziente e il terapeuta, poi tra il soggetto e il gruppo degli altri pazienti che frequentano l’atelier. La relazione mediata dall’oggetto artistico permette progressivamente di stabilire i primi contatti per progredire verso una reale comunicazione.
L’arteterapeuta è colui che ha la funzione di favorire la relazione del paziente con la propria opera attraverso il processo di “riappropriazione”, sottolineandone l’unicità e accogliendolo in un “bagno affettivo” come ha scritto Anne Denner, sostenendolo in questa esperienza di crescita con maggiore fiducia e progettualità.
Dopo vari anni di lavoro nell’istituzione sanitaria pubblica, mi sono resa conto che metodiche innovative come l’arteterapia stentano ad avere uno spazio appropriato e le condizioni che potrebbero permetterne il riconoscimento molto spesso vengono meno un po’ per ignoranza, un po’ per convenienza. Queste ragioni mi hanno spinto a fondare con alcuni colleghi che avevano fatto la formazione con Anne Denner, un’associazione, denominata C.R.E.T.E. (Centro Ricerche Europeo Terapia Espressiva). Uno degli obiettivi dell’associazione è quello di formare persone in arteterapia secondo il metodo Denner, un metodo che si è formato sia dalle ricerche che aveva svolto nell’area dell’infanzia che nel campo della psichiatria, alimentando le sue ricerche e la sua esperienza con l’apporto continuo del mondo dell’arte e degli artisti. Proporre e diffondere l’applicazione dell’arteterapia è un ulteriore obiettivo insieme alla possibilità di fare ricerca. Diversi tipi di popolazione potrebbero usufruire di questa tecnica espressiva, dall’infanzia, alla terza età, ma anche persone con patologie fisiche invalidanti, poiché come ha scritto Henri Miller : “Dipingere è amare ancora”.
Liana Malavasi
Il grande interesse che l’uomo ha verso l’arte e il posto importante che essa occupa nell’esperienza umana, è il fatto che tutta la vita penetra in essa; è per questo motivo che l’arte può diventare ragione di vita per l’uomo che la esercita e per l’uomo che la contempla.
L’interesse per l’arte nasce spontaneamente nell’uomo che in ogni sua attività giunge a “realizzare” opere e valori solo mediante un processo di produzione inventiva che mira alla “riuscita” attraverso la precarietà dei tentativi.
Una delle ragioni profonde del vivo interesse che l’uomo nutre per l’arte è il fatto che egli vede esaltata nella sua massima possibilità l’attività “formativa”. Se nell’analisi della formazione al gusto gli aspetti pedagogici si alternano a quelli estetici, siamo costretti a ricorrere al pensiero di Luigi Pareyson e al suo studio sulla teoria della “formatività”. Il concetto di “formare” indica una unione inseparabile di invenzione e produzione: “formare” significa “fare” inventando “il modo di fare”, cioè “realizzare”.
La formatività intesa come invenzione, produzione, realizzazione sta in tutta l’attività umana, ma nell’arte, la formatività si dà un contenuto, una materia, una legge.
Il contenuto è l’intera vita dell’artista, è il suo modo di comunicare ed esprimere una visione personale della realtà, una concezione della vita, un modo personalissimo di interpretare il mondo.
Nell’arte il mondo dell’artista si fa gesto del fare, modo di formare, stile, e l’opera è l’unione della realtà fisica e sensibile.
La materia è necessariamente materia fisica, perché nell’arte “formare” significa formare una materia e l’opera non è altro che materia formata.
La legge dell’arte è poi la stessa “riuscita” dell’opera, sicchè l’opera è insieme un risultato e riuscita di un processo di formazione.
Se ogni artista conferisce implicitamente una determinata funzione, un posto speciale nella scala di valori e nel complesso della vita, analogamente ogni civiltà e ogni epoca ha un suo determinato modo di considerare l’arte, assegnandole via via diversa importanza e diverse funzioni.
Possiamo vedere come l’arte abbia assunto di volta in volta un valore e un significato diversi: vista come testimone del bene assoluto, dei supremi valori del mondo, o come fine a se stessa; oppure vista come padrona del mistero dell’universo o come puro gioco, come interprete della realtà spietata e impassibile nella rappresentazione dei fatti, ora come delirio o sogno, volo della fantasia, in lotta contro il reale come pura astrazione; vista come espressione del sentimento o mera decorazione, rappresentazione dei propri elementi formali; vista come militante nelle situazioni storiche, impegnata a portare un contributo della sua potente efficacia nel cuore degli uomini o come evasione dalla vita, quale sicuro rifugio dell’anima nella contemplazione di figure fantastiche e di mondi sognati.
Tutto questo per dire che un’opera d’arte è viva e attiva se contiene in sé, in modo operante una poetica, cioè un ideale.
Se formative sono tutte le attività umane, ecco la possibilità della bellezza in ogni opera, e formativa è anche la conoscenza sensibile che coglie l’oggetto. Nel pittore figurativo ad esempio non è possibile distinguere la mano dall’occhio, né l’occhio dalla mano, cioè il modo di formare dal modo di vedere e viceversa. Col suo modo di guardare, egli ritaglia in ciò che vede la sua tela e il suo vedere è già dipingere, il suo dipingere prolunga il suo vedere.
Rivolgendosi all’oggetto che egli intende “creare”, lo fruga con lo sguardo, finchè non se ne sente in completo possesso.
Il significato inconscio di questo processo è il bisogno di dominare le cose a costo di distruggerle, ma la distruzione della realtà si fonde con la costruzione della sua immagine e scopo ultimo dell’artista è dare la più completa espressione del conflitto con l’unione dell’istinto di morte (la distruzione) e l’istinto di vita (la bellezza) (Segal).
Kris, che si occupò della psicoanalisi applicata alle arti, dice che l’artista nel proprio lavoro (si serve dell’ispirazione) è soggetto ad una regressione dell’io che però è parziale, temporanea e controllata dall’io stesso, e mantiene la funzione di stabilire un contatto col pubblico.
L’artista si identifica col suo pubblico allo scopo di sollecitare la partecipazione, questa a sua volta ha per postulato una successiva identificazione del pubblico col l’artista. Ma l’artista trasmette anche allo spettatore uno sguardo costruttivo e formativo, tanto che molti artisti insegnano a chi li contempla e li gusta non solo un modo di guardare le opere d’arte, ma anche un modo di guardare la realtà e il solo fatto di mutare il modo di vedere indica un cambiamento nella vita interiore del lettore.
Il lettore contemplando le opere d’arte entra in contatto vitale col mondo interno dell’artista che gli parla con il linguaggio comunicativo dell’arte, catturandolo e coinvolgendolo in una costellazione di sentimenti inconsci che suscitano una emozione chiamata “esperienza estetica”.
L’appagamento del senso estetico non è possibile se si vuole separare nell’opera l’anima dal corpo o il corpo dall’anima, il mondo dalla forma o la forma dal mondo, poiché sarebbe come voler separare l’opera da se stessa.
Bibliografia
Pareyson L., ESTETICA, Tascabili Bompiani Saggi, 1991
Kris E., RICERCHE PSICANALITICHE SULL’ARTE, Einaudi Editore, 1977
estratto dalla tesi di Eleonora Nesi
Nell’arco di due anni 2017 - 2019 ho realizzato il mio tirocinio in arteterapia in un centro di assistenza e supporto per malati di cancro e loro familiari in Irlanda.
Il focus è stato quello di accogliere tutte le persone, non come pazienti, caregivers o sopravvissuti, bensì come singoli individui con la loro voglia di esprimersi e di essere creativi. Persone con un carattere dalle mille sfumature e una fisicità in cambiamento, che, sì, convivono con una malattia terminale quale il cancro, ma che non sono sopraffatte o annullate da essa. Ovviamente le varie situazioni personali non sono state dimenticate o ignorate, tuttavia il protagonista nell’Atelier non è stato il cancro o la malattia, lo sono state l’arte e la sua capacità di interrogarci attraverso la resilienza dei materiali e dei colori. Riaprire la porta alla creatività insita in ognuno di noi, e a volte dimenticata per lungo tempo, ci ha aiutato ad apprezzare tratti del carattere e aspetti di sé che erano stati messi in ombra o evitati.
Dopo aver completato quattro diversi percorsi di arteterapia di gruppo ed analizzato il progetto di ogni persona, sono emerse delle somiglianze comuni a tutti i partecipanti.
Di seguito, ne descriverò alcune tra le più significative.
BILINGUISMO E ACCOGLIENZA
Prima di iniziare il tirocinio, la mia insicurezza ha fatto da padrona nella mia mente. Pensare di dover gestire un gruppo di persone utilizzando una lingua che non era la mia, parlando di situazioni complesse, di emozioni e sentimenti così profondi, mi ha terrorizzato. Potevo scegliere una situazione molto più semplice per completare il mio percorso di arteterapia, ma ho scelto di proseguire con i pazienti oncologici e i loro familiari.
Quello che pensavo sarebbe stato un ostacolo, la diversa lingua, si è rivelato un valore aggiunto: le mie parole semplici hanno spronato i partecipanti ad andare al cuore della questione, senza tante frivolezze o ghirigori che a volte distolgono l’attenzione dal vero significato.
Mi hanno chiesto più volte come si traducesse una certa parola o una frase in italiano e l’abbiamo ripetuta insieme a voce alta, come le maestre con i bambini piccoli, li ho guidati sillaba dopo sillaba. Il diverso, l’estraneo dopo qualche seduta è stato spesso utilizzato per dire cose che altrimenti sarebbero state troppo difficili da esprimere attraverso il proprio bagaglio linguistico.
La propria lingua madre è importantissima e si chiama così perché ci ricorda da dove veniamo, la nostra storia, il nostro vissuto positivo e negativo. L’abbiamo sentita per la prima volta quando ancora eravamo in grembo ed appena nati siamo stati accolti da voci e parole. Le frasi hanno nutrito le nostre relazioni ed il nostro vocabolario si è arricchito mano a mano che crescevamo. Il linguaggio fa parte del nostro bagaglio culturale e lo portiamo sempre con noi.
Quando si impara una lingua nuova si entra in contatto con una nuova ‘famiglia’, si torna a balbettare e sillabare come bimbi, ogni parola è un gioco di suoni e diventa leggera perché mai detta prima. Parole onnipresenti nel quotidiano di un paziente oncologico, come ‘health’, dette in una lingua sconosciuta, ‘salute’, hanno un suono nuovo e un tono misterioso, la voce quasi cambia e così anche la prospettiva.
Quando viviamo delle situazioni complesse, l’espressione attraverso la parola può essere difficile e il nostro bagaglio linguistico può sembrare insostenibile; ho visto che prendere in prestito da un’altra lingua modi di dire o suoni può aiutare ad esprimersi con più disinvoltura.
Soprattutto con le persone con cui ho instaurato un rapporto terapeutico più forte, c’è stato uno scambio di questo genere. Le parole italiane inserite nei lavori hanno quindi assunto un valore simbolico quanto le immagini. Inoltre sono stati dati dei titoli in italiano a delle opere che hanno avuto un notevole impatto: i pazienti hanno utilizzato le parole imparate e le hanno integrate nel loro percorso, facendomi simbolicamente entrare nelle loro opere. Mi hanno letteralmente invitata nei loro lavori, nel loro mondo, e siamo così riusciti a costruire qualcosa insieme, che spero li abbia aiutati ad armonizzare quello che avevano dentro di sé ed il mondo fuori dall’atelier.
L’ACQUERELLO E IL VERDE
Oltre alle differenze linguistiche, un altro elemento di cui ho dovuto tenere conto è stato il bagaglio figurativo dei partecipanti, che sicuramente è molto diverso dal mio. Come la lingua madre, la terra d’origine influenza come vediamo il mondo, e ci fornisce un parametro interiore di confronto che ci accompagna dalla nascita ed è con noi quando scopriamo ed esploriamo. Quello di cui l’occhio si nutre tutti i giorni, è quello che la mano traccia e la mente rielabora durante il processo creativo. Nata e cresciuta in Toscana, le colline, il sole tiepido, il terriccio polveroso, il rumore dei sassolini tra le ruote della bici, sono tutte immagini familiari ai miei sensi. Una persona nata su un’isola circondata dall’oceano, piovosa, con determinati colori e con una storia intricata, avrà sicuramente un occhio diverso dal mio. Anche la luce è completamente diversa da quella italiana, e di conseguenza lo sono anche i colori e la loro consistenza.
Un esempio è il lavoro di Ellis. Ellis aveva 8 anni quando è venuto nel nostro Atelier per accompagnare la zia Aline, la quale era sopravvissuta al cancro qualche anno prima. Quando Ellis ha terminato il suo lavoro, di cui è andato fierissimo, gli ho fatto qualche domanda sulla sua opera: il cielo rappresentato era sereno, con delle nuvole bianche, ma non era presente il sole, quindi quando ho chiesto ad Ellis dove fosse, lui mi ha semplicemente risposto che era dietro alle nuvole, come sempre. Effettivamente quello che aveva rappresentato era quello che vedeva in un tipico giorno sereno in Irlanda: cielo blu con splendide nuvole bianche che nascondono il timido sole, rivelato solo a tratti.
Un elemento invece sempre presente in Irlanda è l’acqua: l’oceano, i fiumi, la pioggia, l’umidità. Tutto questo ha influenzato i vari lavori e l’acquerello è stato uno dei materiali più utilizzati nell’Atelier.
L’occhio avvezzo all’acqua ha trovato familiarità negli acquerelli e nelle matite acquerellabili. Ho cercato di fornire un’ampia scelta di colori, di una buona qualità e carta da acquerello. L’acquerello è un materiale riflessivo, uno specchio della realtà, come lo descrive il pittore Corpora: “Ho amato molto l’acquerello… perché si scrive nell’acqua, il colore nasce dall’acqua, la luce nasce dall’acqua, le emozioni, i pensieri, le immagini appaiono come un miraggio nell’acqua. L’acquerello perché è l’anima a nudo, l’acqua come inesorabile specchio della verità.”
A Cork, soprattutto in autunno e in inverno, la pioggia è così fitta e fine da impregnare l’aria per giorni e, da sotto l’ombrello, si intravedono paesaggi di forme definite dall’accostamento di sfumature e forme: gli edifici si specchiano nelle piccole pozzanghere sui marciapiedi e di notte i lampioni trovano le loro luci gemelle riflesse nel fiume che circonda la città.
Questi giochi di riflessi e specchi sono sempre presenti in Irlanda ed era inevitabile non trovali anche nel nostro Atelier.
Altra caratteristica è l’onnipresenza del colore verde, come conseguenza di un ambiente costantemente e naturalmente irrigato. I paesaggi sono sempre dominati dal caratteristico colore smeraldo durante le quattro stagioni: le dolci colline, le spiagge melmose e le inospitali rocce delle scogliere accolgono diverse sfumature di verde. È ormai diventato il colore nazionale, il simbolo cromatico del loro patrono che rappresenta l’attaccamento degli irlandesi alla loro natura. Anche se lo storico colore nazionale è il “San Patrick Blu”, oggigiorno il colore associato all’Irlanda è il verde, anche per via del suo soprannome “Isola Smeralda”, del trifoglio e ovviamente dei numerosi paesaggi.
ALCUNI SCORCI SUI PERCORSI DI ARTETERAPIA
MARGOT_ Quando Margot ha iniziato a dipingere era molto insicura e ha chiesto subito alle altre di non ridere del suo dipinto, ma lo ha detto bonariamente, sorridendo di se stessa.
Ho fatto riferimento più volte al nostro obiettivo principale di focalizzarsi sul processo e sul momento creativo, senza pregiudizio. Non c’era soggetto, né materiale giusto o sbagliato, l’importante era la partecipazione attiva della mente e del gusto estetico, che avrebbero guidato istintivamente l’atto creativo. A costo di sembrare ripetitiva ho messo l’accento sul non giudizio dei loro lavori, volevo che le partecipanti fossero protette e sicure nella produzione di un lavoro ‘sincero’, più che tecnicamente perfetto.
Mentre stava dipingendo le ho chiesto come andasse e lei mi ha spiegato che stava cercando di creare degli strati, come una protezione, una coperta. Quando abbiamo parlato dei colori, mi ha detto che le piacevano perché brillanti ed allegri, pieni di voglia di vivere. Ha voluto rappresentare un nuovo inizio e una nuova vita. Poi ha guardato con attenzione il suo lavoro e ha detto scherzando “Sono proprio patriottica, verde bianco e arancione… no è rosso! allora è la bandiera italiana… beh questo è il mio modo per accoglierti nel nostro gruppo” con una battuta, dopo aver espresso un suo desiderio forte ed intimo di vivere, mi ha incluso nel suo privato.
Sono rimasta sorpresa dalla profondità di quello che avevamo scoperto insieme fin dal primo incontro: un desiderio viscerale di gioia e vita rappresentato dai suoi colori sgargianti, e dai due fiori di uguale misura, che sembravano avanzare insieme di pari passo, quasi volessero farsi compagnia in un lungo viaggio.
Dopo la dichiarazione di questo desiderio, si è presentata indicandomi un aspetto di sé identitario, l’appartenenza alla sua terra irlandese definendosi patriottica. Mi ha poi inclusa nella sua presentazione attraverso la somiglianza, la fratellanza dei colori della sua bandiera irlandese e della mia italiana, fondendo così due paesi e persone così diverse tra loro ma allo stesso tempo vicine. Ho accettato molto volentieri il suo invito ad entrare nel suo mondo, la sua stretta di mano fatta di colori, e abbiamo così iniziato il nostro percorso insieme.
KATY_ Dalla finestra dell’Atelier, Katy ha visto la torre delle “Shandon Bells” con quattro orologi, uno per ogni facciata. L’orologio è stato eretto dalla Cork Corporation nel 1847 e gli è stato affibbiato il nome di “the four faced liar” dalla gente del luogo: gli orologi non sono mai stati sincronizzati e su ognuno si legge sempre un orario diverso. Questo è stato il primo esempio di orologio a quattro facce, fino alla costruzione del Big Bang di Londra. Katy ci ha tenuto a farmi sapere la storia di questo edificio, “A bit of history for you”, mi ha detto soddisfatta. Spiegando la storia della sua città, mi voleva partecipe di quello che stava creando con le sue mani. Mi voleva includere in un percorso che illustrava la sua accettazione e preparazione non solo della chiusura del nostro percorso creativo, ma anche di qualcosa di più grande e significativo quale la sua esistenza.
Quel giorno avevo portato delle immagini di Salvador Dalí, volevo dare un input che potesse tirare fuori una riflessione, un’elaborazione sul Tempo, un’ansia che percepiamo tutti, soprattutto chi ne sente, vive e respira la fine. In più Katy stava per partire per la Spagna, non c’era occasione migliore per presentarle un artista catalano.
“E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all'ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell'ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com'è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce arborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato”.
Abbiamo letto come Dalí realizzò il quadro, ero convinta che a Katy sarebbe piaciuta la sua ironia surreale e così potevamo parlare del tempo usando la chiave della leggerezza.
Dalí ci ha dato uno spunto per una riflessione a tratti dolorosa sulla caducità del nostro tempo a disposizione, che si liquefà al passare delle ore del giorno fino all’arrivo della notte. Leggendo poi il titolo però abbiamo svelato un elemento di rassicurazione e continuità ‘La persistenza della memoria’: Dalí ci da’ speranza nei ricordi ormai passati, che hanno segnato tracce indelebili nel cuore di chi ricorda e porta con sé un pezzo di memoria.
A partire da questa nota leggera, Katy è riuscita a raffigurare e a parlare di un tema che le pesava e la angosciava.
“Il tempo si prende gioco di noi, ci fa degli scherzi e molto spesso ci mente. Va veloce, troppo, sembra ieri che è iniziato tutto. Dobbiamo trarre il meglio da tutto questo. Godere di ciò che abbiamo ora e di ciò che abbiamo avuto in passato. Tutto il resto non conta.” Mi parlava guardandomi negli occhi con un po’ di lacrime, ma anche con un sorriso sincero, non di rassegnazione ma di saggezza. Penso di non potermi mai scordare questo momento. La persistenza della memoria.
E poi ha aggiunto: “Time flies”, indicando la mosca sul dipinto di Dalí, ritornando alla sua ironia, chiave e difesa della sua anima (l’espressione «time flies», l'equivalente inglese di «il tempo vola», impiega il sostantivo time - tempo e il verbo to fly - volare; fly, tuttavia, è anche l'inglese per mosca).
BIBLIOGRAFIA
Corpora A., Intervista sulla rivista “Ars”, n. 2, novembre 1999
Nicosia F., Dalì in: Vita d'artista, Giunti Editore, 2002
CONTATTI